Rosse terre d'Africa


Presentazione

Non so se potrò un giorno andare a visitare una di quelle nazioni dell’Africa equatoriale, di quel vasto territorio a cavallo dell’equatore che separa il Nord-Africa dalla barriera naturale del deserto sahariano. Infatti questa frontiera, oltre che ambientale e geografica, segna anche quella etnica: a nord vivono gli arabi e i berberi e, invece, in questa regione vive una popolazione che usiamo definire “nera”.

Considerate le distanze tra l’Italia e la zona dell’Africa equatoriale, mi sarà molto difficile poter realizzare questo sogno, anche se da più di un anno conosco un sacerdote missionario, che ha vissuto per una quindicina d’anni nello Zambia eche mi ha promesso un mese di “trasferta” proprio da quelle parti.

L’occasione l’ha avuta il nostro caro amico Guido Cicero, fotoreporter di elevato spessore, che, approfittando di un’assenza nel gruppo diocesano che si doveva recare nella Repubblica Democratica del Congo per fini benefici, si è unito alla comitiva.

Il territorio di queste regioni, ricco di tante risorse ma ridotto all’estrema miseria, è piuttosto fragile. Contiene, infatti, forti concentrazioni di ossido di ferro, da cui deriva il colore rossastro della terra, mentre le abbondanti piogge contribuiscono alla crescita di una fitta vegetazione.

Sia la fitta vegetazione che la terra rossa sono il leitmotiv dell’opera fotografica di Guido Cicero. E’ così che nasce “Le rosse terre d’Africa”, interessante lavoro fotografico – memoriale.

L’idea di fare una pubblicazione dell’opera di Guido Cicero è nata in occasione della presentazione dei suoi lavori quest’estate nel salotto letterario di Casa Giara a Marina di Modica. Qui abbiamo avuto l’occasione di ascoltare la lettura del suo diario, di ammirare delle suggestive foto, di prestare attenzione a tre poesie di alcuni poeti di Modica, che le hanno scritte appositamente per l’evento, e infine abbiamo visto dei sorprendenti filmati. Infatti il 23 agosto il numeroso pubblico ha potuto constatare quanto il lavoro di fotoreporter del nostro autore fosse molto interessante e avvincente. Egli è riuscito a raccontare, attraverso le immagini del luogo, la vita di un’altra popolazione, che sopravvive in un ambiante immutato nel tempo, dove tutti provano ad essere vicini all’altro.

Avevo conosciuto Guido Cicero in altri brillanti lavori, che sono stati oggetto di una pregevole mostra presso il foyer del Teatro Garibaldi di Modica nell’estate del 2008. In quell’occasione ho potuto ammirare fotografie artistiche di paesaggi della campagna iblea, del mare che bagna la costa sud-est della Sicilia, di particolari di palazzi e chiese di stilebarocco che adornano come giardino di pietra la città della Contea c’erano anche foto di mani nelle loro più percettibili essenze, per giungere ad una sequela di volti: personaggi noti ma anche popolari della zona. In questo reportage il nostro autore, a mio avviso, ha superato ogni limite dello scatto fotografico. Egli è riuscito a trasferire sulla carta l’inenarrabile e l’inimmaginabile. Nei contenuti, oltre alla visione paesaggistica, dominano gli occhi e le mani, due elementi sui quali Guido Cicero ha posto un’attenzione particolare. Gli occhi neri ostentano un sole dentro e brillano di purezza infinita. “Occhi mi giungano/ e mani tese/ mi toccano e/penetrano/ nelle viscere”, scrive la poetessa Silvana Blandino nella poesia “Dall’Africa”, ed ancora “ùnni çi sùnu uòcci ri nicùzzi cò culuri ra sa tèrra pittiàti” (“dove ci sono occhi di bimbi con il colore della propria terra dipinti”), scrive la poetessa Enza Giurdanella, nella poesia “Africa”; mentre le mani “alzate come miracolose antenne,/ trasmettono il bisogno d’amore “, scrive il poeta Giuseppe Puma nella poesia “ Oceano di pace ”.

Guido Cicero è sensibile alla sofferenza della gente che ha visto e l’ha vissuta pure lui visitando in modo particolare la Diocesi di Butembo Beni, gemellata con la Diocesi di Noto. La sua sensibilità risalta in un affascinante diario, dove con dovizia di particolari ha descritto le contraddittorietà del mondo in cui questa popolazione vive. Passioni e luoghi sono descritti con frasi sapienti ed allusive, che, rileggendole o ascoltandole, fanno provare all’autore ancora commozione e sofferenza peruna “attesa incerta”.

E’ possibile coniugare questi due mondi, quello del benessere e della miseria? E’ possibile diventare un po’ più parte dell’altro? E’ possibile chiedere e costituire una giustizia, che ci renda meno distanti da loro, che restituisca i diritti che ogni uomo su questo mondo dovrebbe avere? A volte restiamo perplessi, forse anche delusi, perché in effetti fuggiamo da qualsiasi soluzione che possa dare delle risposte concrete. Ci limitiamo a distribuire vestiti, ad adottare qualche bambino a distanza, a costruire qualche struttura sanitaria e scolastica senza affrontare i veri problemi che affliggono quelle popolazioni. Essi possiedono immense ricchezze e da soli, se istruiti, potrebbero vivere in maniera più umana con una propria vitalità e reattività. “Non basta dare un panino, ma bisogna abituarli a camminare con le proprie gambe” (Papa Francesco il 10.09.2013).

                                                                                                           Giuseppe Puma

con Padre Salvatore Giordanella e Pippo Puma  a Scicli per la presentazione del libro

PRIMA PARTE:

Dall'Africa

Occhi mi giungono

e mani tese

mi toccano e penetrano

nelle viscere.

Occhi scuri di bimbi

occhi rugosi di vecchi

e carezze tenere di madri

arrivano e rotolano

nel profondo del cuore

come quel cerchio

che è gioco infantile

in ogni parte del mondo.

Silvana Blandino

La mia passione per la fotografia e il forte sentimento, che provo per questa terra rossa, mi hanno spinto a partire per l'Africa, dove poter realizzare un reportage.

L’opportunità mi è stata offerta un mese fa, ovvero lo scorso dicembre, dalla Diocesi di Noto, che vi si recava con una delegazione.Destinazione: Repubblica Democratica del Congo. Non mi sembra vero che si trasformi in realtà un sogno che mi accarezza da anni, complice la televisione, che mi ha mostrato scenari incontaminati e di una bellezza rara. Sento sorgere pian piano nel mio cuore il desiderio di farmi voce di chi non ha voce. Stavolta la voce assumerà forme diverse, ovvero quella dell’immagine vera, autentica, che cercherà di cogliere nella genuinità e nell’essenza i sentimenti, i bisogni attraverso un linguaggio non verbale, che è quello dell’espressione corporea.In compenso sento già il tepore africano. Oggi abbiamo soggiornato presso un convento di suore. Al mattino sono stato svegliato da un cinguettio particolare di uccelli. Mi sono affacciato alla finestra e mi sono ritrovato immerso nel verde e tra i colori vivaci dell'Africa.

Rimango colpito dal fantastico abbigliamento, molto colorato, delle persone che girano perle strade non ancora asfaltate. Quando usciamo, constato che sono pochissime quelle bitumate. Non esistono marciapiedi, ma solo terriccio rossastro ai lati delle strade. Non c'è illuminazione, tranne in qualche quartiere. Le case non sono altro che baracche di legno con tetti di alluminio. Solo qualcuna, più elegante, è costruita con forati grezzi. Ben presto risalta agli occhi e … al cuore la differenza con il nostro benessere.

L’impatto con la realtà vera e non rimandata dai mezzi di comunicazione di massa, come siamo abituati, è un pugno nello stomaco. Ma il mio sguardo avrà ancora altre sorprese, che non lasciano indifferenti. Ad un tratto mi ritrovo a percorrere una via con tanti “negozi” (si fa per dire) di vario genere.

Ciò che mi colpisce sono: mobili allo stato grezzo adagiati per terra,frutta e verdure esposte alla polvere, che si alza nell'aria rendendo il paesaggio un po' nebbioso. E che dire dei lembi di carne, chissà da quanti giorni appesi al soffitto delle baracche e presi d’assalto da moschee zanzare?

Penso ai nostri figli (e non solo!), che fanno gli schifiltosi di fronte a qualcosa di mangereccio e prelibato, ma che contrasta con i loro gusti!!! Sono passato anche per i mercatini, che sono ammassati e che vendono di tutto.

Ogni tanto si intravede qualche militare e poi c’è solo una moltitudine di gente.

Il viaggio si presenta molto faticoso e lungo. Attraversiamo l'Uganda, percorrendo una sola strada … non del tutto asfaltata. In prossimità dei villaggi ci sono parecchi “dissuasori”, che fanno sobbalzare così tanto il mezzo da sbalzare le persone dai sedili. Difficile fotografare in queste condizioni. Ne approfitto quando il pullman rallenta. Men che meno si riesce a dormire durante il viaggio notturno. Assistiamo al sorgere di una nuova alba e mi ritrovo circondato da tanto verde, tra palme e alberi tropicali. C'è foschia, ma scorgo l'immensa distesa di foreste e savane.

Dopo cinque ore di viaggio facciamo una breve sosta presso un villaggio, che non ha un nome. Il paesaggio è squallido e polveroso. Mi fa ripugnanza andare nelle toilette di quei pochi bar,ma alla fine devo cedere per … necessità impellenti. Non appena scendo dal bus vengocircondatoda tante persone che mi vogliono vendere cibarie, che non riesco a identificare. Penso che si tratti di ciambelledi riso, di spiedinidi carne e di tante uova sode. Mi assale la paura di essere contagiato da qualche malattia, nonostante i vaccini fatti, cosìmi allontano ringraziandoli.

L'acqua, che si beve, è solo quella delle bottigliette sigillate, comperate nei centri commerciali in Uganda e prelevata nella sorgente del Monte Ruwenzori. Si pensa che sia buona, almeno lo spero. Si riparteper Kasindi. Città di confine tra l’Uganda ed il Congo. L'accoglienza è commovente e la prima … lacrimuccia scende giù. Un gruppo di bambine e di ragazzi con i tamburi ci accolgono con fiori, canti e danze.

Il nostro passaggio è salutato da due ali di folla, costituita da adulti, ma soprattutto da bambini, che inevitabilmente avvolgevamo di polvere rossa sollevata dai nostri mezzi di trasporto. Nonostante ciò hanno continuato a correrci dietro e a gridare: << Jambo! Jambo! Musungo! (Ciao! Ciao, uomo bianco!)>>.Queste parole, dette con simpatia e rispetto, riecheggiano ancora nel mio animo. Mi sono chiesto più volte: <<Com'è possibile riservare un’accoglienza simile ai bianchi, che nel passato hanno praticato la schiavitù nei loro confronti?>>.L’unica spiegazione, che mi do, consiste nella loro speranza di trovare in noi un aiuto di sopravvivenza.

Mentre inseguo questi pensieri, mi rendo conto di essere arrivato in Congo, esattamente al Nord Kivu. A 100 kilometri da qui persistono ancora conflitti interni, mentre le popolazioni subiscono le continue incursioni dell'esercito ruandese, che, con la scusa di dare la caccia ai criminali di etniaHutu e Tutsi del 1994, saccheggiano le miniere d'oro di questa regione e i villaggi vicini, uccidendoa volte la popolazione. In questa zona non ci sono palazzi, ville o monumenti, ma solo capanne di canne e terra rossa, mentre l'assoluta miseria e povertà sono gli unici loro padroni. C'è fame, saccheggio, dittatura, persecuzione, paura, violenza, morte e malaria. Qui la gente deve combattere giornalmente per poter sopravvivere.

Oggi la giornata sembra non avere fine. Infatti, prima di arrivare alla destinazione definitiva, passiamo dalle vicinanze di Muthuanga. Ci fermiamo perché ci aspetta una marea di persone. Non so se sono 10.000 o 15.000, di cui la maggioranza è formata da donne e bambini. Dal finestrino del pullman scorgiamo solo una fitta nube a causa della polvere che si alza al nostro passaggio.

I miei occhi intravedono un oceano di mani di bimbi (che mi ha ispirato poi il titolo di una foto!), che ci salutano, ci vengono incontro chiedendo una caramella o una semplice carezza. Ci regalano sorrisi e un canto allegro mentre ballano al suono ditamburi. Scendo dal pullman e mi ritrovo senza i compagni di viaggio. Sì, perché al loro posto c’è la gente del posto, che mi circonda, mi tocca, mi accarezza, trasmettendomitanto amore, nonché tanta gioia e sicurezza. Non ho paura di stare in mezzo a loro, anzi provogioia e piango, specie quando mi danno una bella lezione di … GENEROSITÀ.

Malgrado posseggano ben poco, ci offrono dei regali! Portano arachidi, uova, frutta e, infine, due caprette (!!!), che porteremoa Butembo.

SONO COMMOSSO. Penso che qui l’egoismo dei paesi ricchi e civilizzati non esista. È proprio vero che le difficoltà spingono le persone a stringersi agli altri e ad aiutarsi reciprocamente con gesti di fratellanza e di generosità. Osservando queste popolazioni, che vivono in condizioni così disumane, mi chiedo se la loro rassegnazione sia dovuta al fatto che non conoscano altro “modus vivendi”[1], per cuinon hanno un termine di paragone, ad esempio, con il nostro, perciò possono accettare ciò che le offre la vita come il dono più grande.

Certo se un giorno questa terra sarà dominata dalla pace e non dalla guerra, diventerà un vero paradiso.

SECONDA PARTE:

Africa

Çèrti vòti cuànnu mi fièrmu sùpra nu scuògghiu

pi taliàri dda lìnia fìna ca spàrti lu çièlu rô màri

piènzu a na tèrra nun tàntu luntàna.

Cuàsi cuàsi cu li mànu la puòzzu angagghiàri

e lu sa çiàuru puòzzu assapuràri.

Ènj la tèrra africàna,

tèrra ri fuòcu e ddi turmièntu

ri passiùni e sintimièntu,

ùnni ê piccirìddipi scàngiu ri jucàri

a quèrra çi tòcca fàri.

Accumìnzu allùra a fàri abbulazziàri

i ma pinzèra còmu na fraffàlla…luntànu, luntànu…

pi fàrli agghicàri ntî ògni cantunèra,

ùnni çi sùnu uòcci ri nicùzzi cô culùri ra sa tèrra pittiàti,

ùnni nun si capìsci a riffirènza tra nìuru e jàncu,

ùnni ci su pirsùni c’ànu abbrazzàtu

lu vìrdi africànu e la tèrra cu paçiènzia

ànu zappàtu e ri ’ncàntu, l’ànu tingiùta

ànu ràtu sprànza a cùi nùnn’ avìa

e ànu tinùtu tèsta a tànti vàj.

Ah cuàntu mi piaçìssi sìri ddà anzièmi a r’iddi!

Çircàri la mànu nìca ri ’nnuccintùlu,

saziàriçi ri mèli la uccùzza,

fàri nu girutùnnutiniènnu pê mànu

bamminièddi ri tùttu lu mùnnu,

spartìrimi ’m pièzzu ri pàni cu cùi nùnn’àvj,

çivàri picciriddùzzi,

accùssì,còmu cardiddùzzi

ri nìru abbannunàtu,

a la stranìa lassàtu,

sìri la màtri ca nunn’ ànu mài avùtu

e dda fàvula a cùi nunn’ ànu mài crirrùtu.

Vuògghiu finìri ri sunnàrimi…

A sta tèrra fantàstica mi vuògghiu abbiçinàri,

mi la vuògghiu vasàri e cu parulèddi arùçi

la vuògghiu ancantàri.

Tu, çèrtu, mi puòi rìri:“Ma se puòi nun vi capìti?”

Iu piènzu,ca nun ç’è bisuògnu ri tànti palòri,

ma sùlu ri ucciàti ca ti sàziunu lu còri.

Gn’juòrnu çi vàgghiu ntall’Àfrica,

sùgnu sicùra ca prìma o puòi

sta tèrra fantàstica la puòzzu abbrazzàri

e na manùzza africàna puòzzu allisciàri.

Enza Giurdanella

Per Bingo mancano ancora 12 km. Finalmente arriviamo a questo villaggio di 20.000 abitanti circa.

Si vedono solo capanne e tanta gente, che lungo la strada polverosaporta di tutto: legna, bidoni d'acqua, canna da zucchero ebanane. Malgrado la guerra che persiste nel Congo, specie nel Sud Kivu, incontriamo file lunghissime di persone, che si muovono a piedi, percorrendo chilometri per andare da un villaggio all’altro a vendere i prodotti che essi stessi coltivano. Anche durante la notte nelle strade si incontra tanta gente: donne e bambini con taniche piene d’acqua, ma anche chi spinge biciclette cariche di caschi di banane.

L’Africa vive di giorno e di notte. Scende dolcemente la sera e l'aria si fa mite. Fa piacere stare fuori a contemplare il tetto di stelle che ci sovrasta. È uno spettacolo unico! Le stelle sono così vicine a noi, che verrebbe l'istinto di toccarle con le mani. Torno con la fantasia indietro negli anni, quando mi ritrovavo la sera col naso all’insù a fissare la volta stellata e facevo esperienza dell’infinito, che mi ricongiungeva a DIO. Muhanga vuol dire “nel cielo”. E la sensazione, che si prova di sera alzando gli occhi al cielo, è proprio quella di stare a pochi metri dal firmamento. Se poi a fianco ti ritrovi un bambino nero che ti fa compagnia, allora ti sembra davvero di stare in mezzo alle stelle. Quando vado a dormire, il pensiero va ai miei cari e spero di potere stare un po' con loro durante i miei sogni. Conclusa la prima tappa, ci apprestiamo a scoprire un mondo nuovo, quello di un popolo, che a volte ho visto in qualche documentario televisivo, che non rende mai quanto la realtà. Si tratta dei Pigmei. Sono emozionato quando raggiungiamo il loro villaggio. La maggior parte di loro ci accoglie con danze e canti, mentre altri, impauriti da questa strana presenza, scappano all’interno della savana. Sono persone di bassa statura, infatti il più alto uomo adulto misura m. 1,50. Vivono in capanne, che sembrano finte. Presso di esse fumano, sparse qua e là, dellepentole nere, ma non si riesce a capire esattamente cosa contengano.. Una cosa è certa: qui regna … la fame! Basta guardare i bambini, che girano nudi nel villaggio, mostrando le loro pance gonfie per la malnutrizione. Mi hanno detto che sono a rischio di morte per la mancanza di muscoli, che causa lo strozzamento dell’ernia ombelicale. Chi ha la fortuna di avere un ospedale vicino forse vivrà, gli altri moriranno.

Mi chiedo: <<Come si fa a tornare nelle proprie case comode, rifornite di ogni ben di Dio, o stare sedute di fronte a tavole imbandite, senza sentire il grido sordo di questi bambini, che mancano dell’indispensabile alimento per poter sopravvivere?>>. Sono certo che la mia vita sta subendo uno smacco, che non avevo messo in conto. No, non posso più essere lo stesso uomo di prima. Le immagini, che scorrono davanti ai miei occhi, sono vere e si imprimono in modo indelebile nella mente e nel cuore. Prima di cena la delegazione della parrocchia Sacro Cuore si riunisce e fa una revisionedelle somme di denaro date e da dare. La nostra parrocchia è molto attiva anche con le adozioni a distanza.

Non voglio scendere nei particolari, ma sicuramente il denaro raccolto è tanto e posso confermare in prima persona che arriva a destinazione. Viene suddiviso nelle parrocchie e personalmente dato alle famiglie con i bimbi adottati.

Nel frattempo il parroco di Bingo, padre Attanasio, ci comunica che ci sono nove bambini da battezzare.

Senza alcuna esitazione mi offro subito per fare da padrino ad uno di loro.

Si tratta di un bimbo di due anni, che si chiama Grace, figlio di genitori giovanissimi, che hanno altri tre bambini!!!

Si preparano i certificati per il battesimo e il parroco di Bingo ci suggerisce di aggiungere un altro nome a quello del bambino. Anzi ci consiglia di mettere quello del padrino, così papà e mamma sono più contenti.Che bello! Il mio figlioccio si chiamerà, così, Grace "Guido".

Sono partito dall'Italia anche con l’intento di fotografare la partemigliore della gente del posto: la gioia, che sanno comunicare nonostante le difficoltà del vivere; il loro sorriso, l’accoglienza, il calore dell’amore sincero, dato senza alcun interesse. Quante lezioni … anoi gente civilizzata, istruita, avanzata nella tecnologia, ma spesso egoista,arrabbiata e poco disponibile a dare un attimo di tempo e d'amore a chi sta peggio di noi!!!

Dovremmo avere tutti noi un pezzettino d'Africa dentro al cuore, e forse si potrebbe avere un cambiamento radicale nel nostro modo di vivere e di amare. Come sempre, anche stamattina ci svegliamo e ci alziamo presto con il canto degli uccelli e dei galli.Giriamo ancora tutta la mattinata con una nuvola di bambini che ci accompagna, come sempre! Mi colpiscono perché sono felicissimi e disponibili. Tra tutti uno risalta più degli altri. Si chiama Gerlase e avrà sette- otto anni al massimo. È molto sveglio e ha un’intelligenza straordinaria. In pochi giorni è riuscito a parlottare con noi sia in italiano che in dialetto … modicano!!!Incredibile!

È abilissimo nel far girare un cerchione di bici con un pezzo di ramo. Presto diventa la nostra guida emascotte.

Naturalmente diventa il protagonista di una mia foto, cui ho dato il titolo "A piedi nudi verso la speranza”, che sarà la copertina del mio catalogo "Emozione Africa". Questo è l’ultimo giro che faccio in questa terra africana, che tanto mi ha fatto vedere, che tanto mi ha insegnato, che tanto mi ha emozionato e commosso. La realtà, che ho trovato, ha scritto nel mio cuore più pagine di quelle scritte su questo diario, ma IN MODO INDELEBILE.

TERZA PARTE

Oceano di Pace

Il rumore, che venne dopo,

fu quello prodotto

dal traboccante battito delle mani.

C'è poca ombra da quelle parti

e nell'eterno cielo azzurro

svettano fragili mani dentro le altre,

amorose mani attaccate alle altre;

mani povere e amiche che si abbracciamo

e che, alzate come miracolose antenne,

trasmettano il bisogno d'amore

rischiarato dal balenìo di occhi brillanti e neri.

Si radunano come un mare pieno di onde

e i loro corpi sono terra e sole.

Stringerli è come darsi l'ultimo bacio prima dell'addio,

bacio che si fa tuo quando il loro è dentro di te.

Non hanno paura della fame,

del silenzio degli uomini,

degli uomini, che hanno paura dell'amore.

Ma è nell'amore che si comincia a capire

quanto costa la morte

e quanto è questa suprema.

Momento dopo momento

da sempre e per sempre

si accendono quei cieli bui

di intrisa luce,

di respiri spensierati,

di attimi allegri,

che, tutti insieme sommati,

fanno della povertà nulla.

Esortali a morire fra le Tue sublime mani,

donale dell'attesa incerta

un sole Eucaristico di applausi.

Giuseppe Puma

Dopo pranzo incominciamo a prepararci per il rientro in Italia.

Nel pomeriggio in Chiesa diamo l'ultimo saluto ai fedeli ringraziandoli per la loro calorosa ospitalità, facendo festa. A Bingo si sente lo sconforto e la tristezza della gente per la nostra partenza, infatti tutto il pomeriggio c'è un via vai di gente, che viene a salutarci e a portarci regali di ogni genere.

Mi raggiunge anche la famiglia del bimbo che ho adottatoe mi porta una foto di Graceinsieme aun sacchetto di arachidi come regalo. Ci abbracciamo con tanto affetto e ci salutiamo senza riuscire a trattenere la tristezza e la commozione. Chissà se ci vedremo più. Per nascondere qualche lacrima, che scende sul loro viso, vanno via senza più voltarsi. Ma anche il mio volto si riga di calde lacrime. Sicuramente in questa terra arsa lascio un pezzo del mio cuore.

Avrei voluto lasciarvi tutto ciò che avevo, come pure tutti i miei compagni che hanno vissuto con me quest’avventura unica. Tutti facciamo a gara a lasciare tutto ciò che possiamo, compreso il vestiario. E loro accettano con umiltà etanta gioia. Nel cortile ci sono almeno 200 bambini e adulti, che sperano di ottenere qualcosa da noi. Si accontentano anche delle bottiglie vuote d'acqua, che loro usano come borracce. Finiti i saluti, vado in cameraa completare la valigia. Ad un tratto vedo spuntare il piccolo Gerlase, che mi dona una papaia. Come posso dimenticare questi gesti di affetto? Vado a dormire stanco, ma contento di ritornare nella mia patria.

Sono anche felice e parto con la speranza di riuscire a trasmettere ai miei familiari, agli amici, ai conoscenti e al mondo intero l’esperienza di vita fatta in questa terra, che mi ha fatto apprezzare le cose essenziali, i valori veri, la semplicità, la gioia pura, che ho visto sprizzare dai loro cuori e che è andata ad innaffiare i cuori più duri, ma un esempio per me credente è stata pure la fede forte. Adesso, anche l’odore strano e ripugnante emanato dalla loro pelle, dovuto alla poco pulizia, non voglio più chiamarlo "brutto odore", ma "profumo di purezza e d'amore vero". Questa popolazione è gente che ha sofferto, che soffre e che soffrirà ancorare per la fame, la sete, la miseria e per la continua guerra tra etnie. Come dimenticare che tanti di loro, durante la mia visita, mi ripetevano sempre che non hanno più lacrime per piangere? Questo è il mal d'Africa che assalequando ci si reca in quei posti. E' una terra dove sicuramente il progresso stenta a partire, magari per i loro costumi e usi, ma un piccolo aiuto dato da tutto il mondo potrebbe cambiare le loro esistenze fino a farle diventare dignitose. Rifletto: tutto è finito, il sogno ora sembra appartenere ad un tempo lontano. In realtà è passato solo poco tempo. Adesso rimarranno solo i ricordi di quei momenti indimenticabili, in cui si sono alternati pianti, gioie ed emozioni. Chissà se un giorno si potràripetere questo indimenticabile viaggio.

Scrive ilVescovo di Noto:

….. Ho conosciuto Guido Cicero proprio durante il viaggio che abbiamo fatto insieme in Congo nel gennaio 2010 e subito mi sono reso conto della sua ricca umanità. Dal suo zelo nell’"immortalare" i poveri d'Africa con la sua macchina fotografica non per morbositàe ricerca del sensazionale, ma per spirito di genuina solidarietà volendo dare con le sue foto uno scossone al muro d'indifferenza eretto attorno a tanti cuori sui problemi del Congo. Ritengo che Guido ha saputo mettere la sua arte a servizio della solidarietà e della carità, dimostrando ancora una volta che "la bellezza salverà il mondo".

S.E. Mons. Antonio Staglianò Vescovo di Noto

L'AFRICA È COME L'ITACA DI ULISSE: UNA TERRA ROSSA CHE ATTRAE E DOVE

SICURAMENTE SIFA RITORNO . LA TENEREZZA, IL SENTIMENTO E IL PIANTO

HANNO TRAVOLTO IL MIO ANIMO MENTRE FOTOGRAFAVO QUEI POSTI, MA

ANCHE QUEGLI OCCHI DI BAMBINI, QUEI VOLTI E QUELLE MANI

CONTINUAMENTE ALZATE PER CHIEDERE TIMIDAMENTE "AIUTO".

IL TUTTO HA LASCIATO UN SEGNO INDELEBILE! TUTTE QUESTE MIE

TESTIMONIANZE LE HO VISSUTE REALMENTE E SI POSSONO RACCHIUDERE IN

DUE MIEI LAVORI:

EMOZIONE AFRICA” con le mie foto

E

“ ROSSE TERRE D’AFRICA” con il mio scritto

GuidoCicero